Viola fra biberon e chignon
Incontro la nonna di Viola, 4 anni, ad un corso che ho tenuto qualche anno fa sul ruolo dei nonni, un’esperienza davvero piacevole e arricchente. Mi racconta, con un po’ di amarezza, la routine del martedì e giovedì pomeriggio con la nipotina. Va a prenderla alle 16 alla scuola dell’infanzia, corrono letteralmente a casa perchè Viola fa merenda solo con il biberon di latte, e si vergogna a berlo fuori dalla scuola, mentre la nonna le fa lo chignon, e poi, di nuovo correndo, si va a danza. Sarebbe tutto più facilmente gestibile portandole la merenda e saltando il passaggio a casa, ma Viola non vuole. Sono passati anni, ma ancora ho davanti agli occhi la foto di Viola che beve il biberon mentre la nonna le fa lo chignon. Cosa mi mette in allarme? L’immagine di una bambina sfasata, disarmonica, accelerata, come definisce questo tipo di bambini Anna Oliverio Ferraris, da un lato troppo grande per avere come unica merenda il biberon di latte, dall’altro troppo piccola per affrontare la danza due volte la settimana dopo una giornata alla scuola dell’infanzia.
L’educazione completa
Negli anni ’80 del secolo scorso si diffuse la teoria delle Intelligenze Multiple di Howard Gardner, psicologo statunitense, figlio di immigrati ebrei tedeschi che lasciarono la Germania prima della Seconda Guerra Mondiale, che rivoluzionò il precedente modo di concepire l’intelligenza. È grazie a questa teoria che il mondo si colora di diverse intelligenze e che un bambino che non brilla nelle intelligenze classicamente più considerate, quali quella linguistica e quella logico-matematica, avrà comunque la possibilità di emergere in futuro, ad esempio grazie all’intelligenza corporeo-cinestetica, diventando un atleta, o grazie all’intelligenza interpersonale, diventando un educatore.
Si passa così dall’idea di intelligenza (quella logico-matematica e linguistica) alle intelligenze, sette e successivamente nove tipi di intelligenze diverse, non più solo legate alla sfera mentale, ma anche a quella corporea ed emotiva, in una visione dell’essere umano più completa, globale.
Purtroppo la società, e la scuola in primis, sono ancora molto legate alla visione precedente e valorizzano prevalentemente l’intelligenza linguistica e logico-matematica, a discapito delle altre. Si tratta di un approccio molto riduttivo, che ostacola molti bambini e ragazzi nel riuscire a far emergere le proprie potenzialità quando differiscono dalle due categorie d’elezione.
L’educazione completa, che mira allo sviluppo di un essere umano equilibrato e completo, va a nutrire tutti i nove tipi di intelligenza, richiedendo di compensare quelle che ancor oggi hanno un posto d’onore nella carriera scolastica, ossia l’intelligenza linguistica e logico-matematica.
Un modo a mio avviso ancor più incisivo e affascinante di portare il concetto di educazione completa è quello offerto dalla pedagogia steineriana parlando di educazione di testa, cuore e mano.
Educare la testa porta a sviluppare l’intelligenza linguistica e logico-matematica.
Educare il cuore porta a sviluppare l’intelligenza interpersonale, intrapersonale ed esistenziale.
Educare la mano porta a sviluppare l’intelligenza corporeo-cinestetica.
Le intelligenze musicale, naturalistica e spaziale sono invece trasversali.
Dove siamo oggi?
Dove ci troviamo oggi rispetto all’educazione completa nel nostro contesto storico culturale?
Siamo fortemente sbilanciati: il piatto della parte razionale pesa, moltissimo.
Si è diffusa nella società, nelle famiglie, negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia, la dilagante necessità di portare in fretta ai bambini il pensiero logico-matematico e nozioni linguistiche, con una serie di pre: prescolarizzazione, pregrafismo, prescrittura, prelettura, precalcolo, mentre nessuno ad esempio si preoccupa più di prendersi cura del pensiero magico, così vicino al bambino piccolo e così prezioso per coltivare i suoi sogni.
Andando a rileggere le Indicazioni nazionali italiane per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione del 2012 non colgo questa necessità di anticipare il pensiero astratto, incontro invece la necessità di lavorare su altri piani: identità, autonomia, competenze e cittadinanza. All’uscita della scuola dell’infanzia l’obiettivo è quello di aver educato un bambino che riconosce ed esprime le proprie emozioni, ha maturato una sufficiente fiducia in sé, manifesta curiosità e voglia di sperimentare, condivide esperienze e giochi, affronta gradualmente i conflitti, ha sviluppato l’attitudine a porre e a porsi domande di senso, sa raccontare, narrare, descrivere situazioni ed esperienze vissute, si esprime in modo personale, con creatività e partecipazione.
Questo documento è davvero prezioso e con un elevato valore pedagogico, in nessun passaggio fa immaginare bambini fermi, seduti al banco a sperimentare attività di prelettura e prescrittura e ad incontrare concetti astratti. Evoca invece bambini curiosi, in movimento, che giocano, manipolano, domandano, imparano a riflettere sull’esperienza attraverso l’esplorazione e l’osservazione, bambini che parlano e ascoltano, litigano e fanno pace. Fra questi meravigliosi intenti e la realtà di molte scuole qualcosa sembra essersi inceppato, non so dire a quale livello. Per il benessere e la crescita armonica dei bambini questo documento andrebbe recuperato nel suo valore profondo e riposizionato alla base del lavoro educativo.
Se l’educazione dei primi 6-7 anni fosse più completa ed equilibrata, si fondasse maggiormente sul gioco, l’esperienza e lo sviluppo delle autonomie di base, e non anticipasse il pensiero astratto, i bambini fra i 6 e i 7 anni lo accoglierebbero con maggiore entusiasmo e curiosità perchè più in linea con la loro fase di sviluppo e vivrebbero la scuola con maggiore benessere e interesse.
Gli effetti
Cosa produce questo sistema educativo? Ho incontrato in consulenza tanti genitori di bambini come Viola. Anna Oliverio Ferraris li descrive così: sono i bambini precoci: capiscono anche troppo, ma spesso capiscono cose che non sono in grado di sopportare. Una cosa è capire sul piano cognitivo, un’altra è poter accettare una realtà. Imparare e conoscere non sono sinonimi.
Cosa succede a questi bambini? La testa è lanciata a tutta velocità alimentata da giocattoli sofisticati, giochi tecnologici interattivi, libri, tanto dialogo, attività precoci di varia tipologia, stimoli a volontà… Il cuore è rimasto un po’ indietro nella fatica di vivere la frustrazione, trovare un argine solido ai capricci, tollerare il pianto… Anche la mano è rimasta indietro, anzi tutto il corpo, tutta la fascia preziosa delle autonomie: vestirsi, lavarsi, mangiare, bere, addormentarsi, fare la cacca…
E così Francesco in prima elementare frequenta il tempo pieno e gioca a calcio, ma al mattino beve dal biberon, di sera si addormenta davanti alla TV e di notte va nel lettone.
E così Emanuele alla scuola dell’infanzia fa il corso di nuoto, frequenta le lezioni di inglese madrelingua, arte e musica tenute da professionisti esperti, ma a tavola è ancora in fase di svezzamento e le insegnanti non si pongono come obiettivo prioritario quello di educarlo ad un’alimentazione sana.
Purtroppo in consulenza incontro spesso situazioni di questo tipo, complice una società iperstimolante, in particolare nel settore tecnologico, nei ritmi di vita sostenuti e negli ambienti che spesso non sono a misura di bambino.
Un altro rischio è che un bambino troppo spinto sul piano razionale e immaturo su quello emotivo sviluppi delle paure, pensiamo ai bambini esposti ai telegiornali, che captano notizie che talvolta destabilizzano un adulto con un discreto equilibrio, basti pensare in questi anni alle guerre, alla pandemia, al disastro ecologico, ai vari fatti di cronaca nera spesso descritti con particolari raccapriccianti in nome del sensazionalismo. Informazioni inquietanti, offerte prima di una adeguata maturazione emotiva, non possono che generare paure.
Cosa possiamo fare?
Il mio invito è quello di riportare equilibrio, a casa come a scuola, evitando di concentrarsi sulla sfera mentale e incoraggiando invece lo sviluppo di quella emotiva e delle autonomie. Il punto di partenza può essere l’età anagrafica: un bambino di 4 anni ha ancora bisogno del biberon, di dormire con la mamma, del passeggino, del pannolino, del ciuccio? Nello stesso tempo è pronto per rinunciare al sonnellino del pomeriggio, per fare attività dopo una giornata di scuola, per essere inserito nelle attività prescolastiche?
Teniamo costantemente l’occhio puntato su tutte e tre le sfere: testa cuore e mano stanno procedendo di pari passo? Questa la domanda guida, ogni giorno.