Carlo ha 5 anni e sta passeggiando tranquillamente con il papà, hanno appena preso un gelato assieme. Si ferma davanti ad un vetrina di articoli sportivi attirato dagli accessori per le biciclette, li osserva ammirato, vede un lucchetto che non solo gli piace, ma che gli sarebbe proprio utile per la sua bici, ora che ha iniziato a muoversi per strada, e lo chiede al papà. Il genitore valuta velocemente la richiesta e, in effetti, trova che non sia fuori luogo, anzi si sposa a pennello con l’intento educativo di favorire l’utilizzo della bicicletta. Peccato ci sia un problema: ha dimenticato a casa il portafogli, sono riusciti a malapena a prendere il gelato con i pochi spiccioli in tasca. La risposta del papà di conseguenza è: “Ora non ho i soldi, ma lo prenderemo nei prossimi giorni”. Nel descrivermi l’accaduto Marco, il papà, connota la sua risposta come un no, e la comprendo dal punto di vista di un bambino preso dal suo desiderio impetuoso che non conosce il domani, ma dal mio punto di vista la risposta assomiglia più ad un sì e l’attesa diventa un valore. Carlo naturalmente è frustrato dal non poter avere subito il lucchetto e fa partire il capriccio. Sia la frustrazione che il capriccio sono normali per un bambino di 5 anni, ciò che una buona educazione può evitare è l’escalation che si alimenta dalla “contrattazione del no” del papà, il quale motiva e rimotiva, discute, ascolta e valuta proposte di soluzione assurde che arrivano sotto forma di imperativo: “entra nel negozio e chiedi il lucchetto gratis”.
I due genitori credono in un’educazione che punta sul dialogo, la discussione, la motivazione delle scelte, la partecipazione del bambino alle scelte di famiglia, la contrattazione dei no, la riflessione sulle strategie di contenimento della rabbia. Di per sè sono tutti aspetti che possono entrare in una buona educazione, ma a cinque anni sono ancora prematuri. Carlo ha bisogno che il contenimento della sua rabbia passi prima da un contenimento esterno, la diga genitoriale, una diga rispettosa e amorevole, ma salda; solo con la crescita e la maturazione potrà costruirsi la sua diga interiore.
L’escalation porta il bambino ad alzare il tiro: pianto, urla, ordini al papà, fino ad arrivare ai conati di vomito. A quel punto il papà, che fino a quel momento ha saputo mantenere il sangue freddo, si arrabbia e decide di avviarsi verso casa minacciando l’abbandono. Il bambino lo segue disperato. Cos’altro potrebbe fare un bambino di 5 anni? Finalmente a casa il papà può passare il testimone alla mamma, che decide di contenere fisicamente Carlo, che in queste occasioni arriva a fare danni, ma quel giorno non se lo possono permettere perchè la casa in questione è quella dei nonni. Prima del contenimento materno Carlo riesce comunque a prendere il cappello del papà e a pestarlo ripetutamente. Dopo un po’ la mamma, sempre tenendolo in braccio, lo distrae con una storia, il bimbo si calma e torna dal papà come se nulla fosse successo.
Cosa sta dicendo Carlo quando pesta il cappello del papà? Sta portando la sua rabbia contro il genitore. Si tratta della rabbia per non aver ottenuto il lucchetto? Non credo proprio. Mi permetto, considerati quasi 30 anni di esperienza professionale e di studio nel campo educativo, di tentare di leggere la rabbia di Carlo. La rabbia non è verso il mancato acquisto, la rabbia è verso un genitore che non ha contenuto, arginato, impedito l’escalation con un semplice e netto no. La rabbia è verso i genitori che gli permettono di perdere completamente il controllo e fare danni, di cui poi è profondamente amareggiato e pentito. La rabbia è verso il papà che anzichè contenerlo lo abbandona, lo rifiuta, lo punisce, incamminandosi verso casa senza di lui. E lui non ha altra scelta che seguirlo, perchè è un bambino, perchè è dipendente dal genitore.
Il mio consiglio è di agire proprio al contrario: in una situazione di questo tipo, ossia quando il no è chiaro, motivato, indiscutibile, portiamolo in modo calmo e fermo, senza contrattazione. Questo eviterà molto probabilmente l’escalation. Nel caso il bambino abbia comunque uno scoppio di rabbia dettato dalla frustrazione cerchiamo un posto tranquillo e in disparte se possibile, accogliamolo in un abbraccio che contiene, aiutiamolo a calmarsi, senza tante parole nè tanto meno storie per distrarlo. Fermiamoci invece assieme, abbracciando il figlio e la sua rabbia e insieme aspettiamo che quel piccolo uragano passi e riappaia il sereno.